martedì 15 aprile 2008

Elezioni: spunti interessanti dalla rete e dalla storia, per capirne un po' di più

Nel dopo elezioni, o meglio, dopo la parvenza di elezioni democratiche, con la delusione enorme che ho in corpo (che peraltro covava già molto prima del voto), col ritorno della DC semmai non ce ne fossimo accorti (gli diamo sei mesi di tempo al Berlusca per liberarsi della Lega, e a Veltroni di Di Pietro, per riformare la DC forse anche più oscurantista di vent'anni fa, visto che si è anche affrancata dalle forze di sinistra?), mi piacerebbe proporre alcuni pezzi tra i più interessanti che ho letto, IMHO.

Il primo, di stampo strettamente attuale, per quanto tenti di spaziare nel generale, è di Suzukimaruti.

Il secondo porta invece a riflessioni "oltre", e che sarebbero tremendamente utili per capire dove ci stiamo dirigendo (e capire perché per prendere voti oggi si parli di pensioni e non più di posti di lavoro), a prescindere dagli orientamenti politici di turno, visto che sono tutti di breve respiro. E' un articolo del Solista sulla bomba demografica, sempre più pericolosa.

Poi, due riflessioni eterne, fatte quasi quarant'anni fa dal più grande e acuto intellettuale italiano del dopoguerra, rinnegato in primis dalla sinistra.

Nella prima, Pasolini che dà la misura di quanto effettivamente sia potente e antidemocratica la televisione. Nonostante Internet, la composizione socio-demografica dell'Italia pende ancora troppo dalla parte di questo medium di massa.


Pasolini: la televisione


La seconda è un'analisi, anche questa sempre attuale, della società dei consumi. Qui un breve estratto, ma su youtube si trovano versioni anche più lunghe:


Pasolini: la civiltà dei consumi

Nell'una e nell'altra riflessione si potrebbe notare che oggi siamo nel momento di massima tensione di entrambi i sistemi (i medium di massa lentamente soppiantati dalla rete, la società dei consumi che mostra qualche barlume di crepa). Sarebbe interessante, ahimé, poter avere qui Pasolini per sentire oggi le sue opinioni.

lunedì 14 aprile 2008

Torino, stadio Filadelfia, o quel che (purtroppo) ne resta

Ad ottobre, ogni due anni, Torino è sinonimo del più grande evento del food in Italia. A torto o a ragione, visto e stravisto oppure no, in declino o in crescita, vero o finto, quando si parla di cibo tra esperti, appassionati o addetti, gli anni pari si parla del Salone del Gusto. Come quasi tutti gli eventi che fanno parlare di Torino, anche questo è ospitato al Lingotto. Del resto, la Fiat - anche se in declino - è sempre presente, e casa Agnelli pur defilata resta padrona. Padrona di una città ormai ridotta a succursale di Milano, visto che in treno è raggiungibile a qualsiasi ora solo da lì; porta d'ingresso alla Francia, ma sarebbe più appropriato dire zerbino visto che Bologna, cioè l'Italia, ha pochissimi treni diretti in andata, ancor meno al ritorno, nessuno ad orari compatibili con una cena. Naturalmente Trenitalia, in casa Fiat, non si azzarda a proporre treni speciali che viaggino anche di notte.

Nel 2004 al Salone del Gusto partecipai anch'io, ed ebbi l'occasione di conoscere personalmente Marc Millon, Beatrice Ughi, Carla Latini e praticamente tutti i produttori della scuderia di Vyta, alla quale stavo lavorando. Fu un'esperienza significativa, forte, molto interessante (se dico golosa è scontato), senza dubbio imperdibile.

Ma di quella giornata, in una Torino senza più un posto letto (non sarebbe accaduto neanche per le Olimpiadi), fu un altro l'episodio che mi rimase impresso a fuoco. Arrivato in mattinata da Bologna, per fortuna fui ospite del carissimo Michele Bredice, un ragazzo conosciuto nel Campo di Formazione Capi Scout, il quale ahimé non sento più da diverso tempo; in una Torino assolata e fresca, mi stavo dirigendo dalla stazione Lingotto a casa sua, in Corso Unione Sovietica, non lontano dall'attuale Stadio Olimpico (il vecchio Comunale).

Per arrivare da Torino Lingotto a Corso Unione Sovietica c'è da farsi un pezzetto a piedi, di strada e di storia, nel più classico dei sobborghi operai italiani. Un'occasione da non farsi sfuggire, perché fra qualche anno (anzi, già sta accadendo) questa zona verrà rivalutata, c'è da starne certi, dato che l'industria pesante oramai non c'è più.

Ad un certo punto, per arrivare a Corso Unione Sovietica si gira a destra, e si imbocca via Filadelfia. Qui non è più strada, è solo storia, la storia di un monumento completamente abbandonato a se stesso.

Per i veri appassionati di calcio, a Torino - dopo la Mole - viene il vecchio stadio Filadelfia. A Barcellona, Madrid, Manchester, Liverpool ne avrebbero fatto un museo, con tutti i trofei, filmati, cimeli e ammennicoli del Grande Torino. Qui no: lo si abbatterà per farne uno dei tanti centri commerciali. Eppure, anche diroccato, basta affacciarsi dai finestrini delle vecchie biglietterie (con sopra stampigliato il settore di entrata) che tra le macerie sembra di rivedere le telecronache dell'istituto Luce.

Nel secondo dopoguerra, il Toro era il club più forte del pianeta. Oggi non sapremmo a chi paragonarlo: forse al Milan di Sacchi, o ai Galacticos del Real Madrid, ma sarebbe riduttivo. Troppo il divario con gli altri club, suggellato dalla convocazione in blocco nella Nazionale italiana (ci si avvicinerà solo la Juventus nell'Italia campione del 1982), all'epoca reduce da due titoli mondiali. Va detto che il Toro aveva beneficiato della guerra, garantendosi i migliori giocatori in cambio dell'esonero dal servizio militare grazie agli stratagemmi del presidente Ferruccio Novo.

Il divario non è però solo tecnico: il Grande Torino negli anni quaranta ha una gestione che sarà eguagliata solo negli anni Ottanta. Nel 1948 è in Brasile, poi gira l'Europa inaugurando (e riempendo) diversi stadi, costituendo un richiamo di pubblico senza pari. Premi partita, onorari e fama ne fanno la squadra più ricca e famosa del mondo. Basti pensare che Altafini, ai mondiali di Svezia con la nazionale verdeoro, viene soprannominato Mazola per una vaga somiglianza col capitano granata.

Proprio la fama, complice la nebbia e un altimetro sballato, sarà paradossalmente la causa della tragedia di Superga, che consegnerà al mito un undici impareggiabile. Di ritorno da Lisbona, da una delle tante amichevoli, l'aereo con i giocatori si schianta all'ingresso della Basilica di Superga, sulle colline torinesi. Il servizio del cinegiornale merita di essere visto, perché fotografa un'epoca ed uno stile narrativo che oggi non esistono più.


La tragedia di Superga: Settimana Incom


Resta il fatto che oggi, in via Filadelfia, c'è uno stadio diroccato, neanche risalisse ai romani, dove gli echi delle grida e i rumori dei calci al pallone ancora rimbombano tra le macerie delle gradinate, le erbacce e le porte rotte. Concludo con un monologo di Giorgio Albertazzi, in una fiction dedicata al Grande Torino, in video qui sotto:Il tempo, quando entra qui, si ferma un attimo, e si toglie il cappello.


Giorgio Albertazzi: il Grande Torino