sabato 18 ottobre 2008

Di ritorno da Philadelphia e New York. Prime impressioni

Eccomi tornato dal viaggio di undici giorni nella culla della storia occidentale contemporanea: Philadelphia, sempre snobbata - ma dove si ebbe la prima dichiarazione "Noi, popolo..." - e New York, mai troppo elogiata. Alcune impressioni a caldo, anche se ho idea che verranno giù post su post, perché di cose viste e pensate ce ne sono un mare.

1. Crisi o no, vista così l'America dà l'impressione di avere le carte in regola per rialzarsi. Imprenditorialità, voglia di sacrificarsi e semplicità (mentale, e dunque burocratica) sono una miscela estremamente vantaggiosa. Se tornano a farsi qualche torta di più in casa e a sperperare un po' meno sulle scemenze (e ci sono scemenze per tutti i gusti), dalla crisi ne escono fuori bene.

Nota: non è stato un viaggio esclusivamente turistico, c'è stato anche un po' di business, quindi ciò che affermo lo faccio a ragion veduta.

2. Per il senza glutine la situazione sembrava un po' difficile alla partenza. Nulla di tutto ciò: molti ristoranti informati, altri in grado di soddisfare le esigenze, ma soprattutto prodotti disponibili più o meno ovunque. Addirittura un negozio esclusivamente gluten-free accanto ad uno di quegli stradoni immensi che vanno dal centro alle zone residenziali di periferia, tra Philadelphia (Pennsylvania) e Cherry Hill (New Jersey).

3. As usual, affittato appartamento con cucina: oltre che più economico (anche col cambio favorevole, New York è costosa), si va sempre sul sicuro. Avevamo comunque mappato i ristoranti senza glutine di Manhattan.

4. A conti fatti, per il senza glutine in autonomia, il posto peggiore finora visitato resta l'Italia, in cui uno che non parla italiano deve affidarsi ad un prontuario non immediatamente comprensibile per capire cosa può mangiare e cosa no. Anche negli Usa, che a livello istituzionale non brillano per sensibilità al gluten-free, i supermercati (specie Wholefood e Trader Joe's) sono ben forniti di prodotti, peraltro ben segnalati. E in etichetta, ovviamente, la presenza del glutine è sempre segnalata (o come gluten, o come wheat = farina). Oltretutto, va anche detto che in Usa le lacune istituzionali vengono colmate egregiamente da club e associazioni, che spesso fanno pressione sulle catene di supermercati, ottenendo buoni risultati.

5. Ultima nota: anche negli Usa c'è un pane gluten-free strepitoso. Come caspita è possibile che solo in Italia - a livello di grande distribuzione - non esista? L'unico buono finora assaggiato in Italia è quello di Le Ben, a Roma, per il quale non ci si può avvalere del buono (a meno che, mi sembra, uno non sia del Lazio). Per il resto, il pane senza glutine fa schifo. Senza mezzi termini, schifo e basta. E non meniamola con la storia che ha meno ingredienti: la lista è la stessa, solo che qui sa di plastica (se va bene). Urgono soluzioni.

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